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Conclusioni



Il recupero del G2 non riesce evidentemente a rispettare le specifiche richieste dal CdQ; come spesso accade, infatti, le condizioni di forte degrado sociale, per quanto riferite a luoghi precisi e delimitabili, sono in realtà il risultato di problemi la cui soluzione è ben più complessa e passa per una serie di interventi infrastrutturali a scala ben più ampia.
Si tratta di interventi forzatamente legati a una dimensione temporale di lungo periodo che non trova riscontro in una politica di azione urbanistica ormai troppo legata all'azione immediata, in cui la progettazione ha necessariamente tempi brevi e deve essere circoscritta all'intervento effettivamente realizzabile.
Questo intervenire per bandi e finanziamenti ha certo ridotto i tempi di attuazione degli interventi e migliorato la loro fattibilità, ma tende ad escludere le modificazioni più ampie e complesse e non mi sembra lasciare spazio ad un'urbanistica in cui la ricerca, progettazione e fase attuativa si configurino come un processo unitario di controllo e intervento sulla città.
Il progetto di recupero del G2, così come proposto nell'ambito dei CdQ, è quindi un intervento parziale di dubbia efficacia, le cui possibilità di successo finali appaiono subordinate all'esecuzione di successivi interventi, ancora poco definiti e dalle incerte possibilità di finanziamento.
Ciò che appare comunque evidente è che la riqualificazione sociale ha tempi e costi enormemente maggiori di quella edilizia; questa considerazione dovrebbe certo fare riflettere prima di accettare il degrado di intere aree urbane come inevitabile esito della città.
La concentrazione delle istanze rifiutate dal modello urbano in luoghi delimitati, se da un lato ne agevola il controllo repressivo, dall'altro ne accentua la non conformità e pone le premesse a forme estreme di degrado i cui costi di recupero divengono altissimi.
Il G2 è certo un errore: è una struttura evidentemente fuoriscala rispetto a Calderara e alle capacità di controllo di questo comune.
È un intervento acontestuale dettato unicamente da intenti speculatori, non dovrebbe essere lì, ma purtroppo c'è.
Ho sentito più volte dire che la soluzione migliore sarebbe forse la demolizione dello stabile; in effetti le migliaia di metri quadri del G2 non rispondono ad alcun bisogno del Comune e non sembrano appetibili per altri soggetti (Aeroporto in testa, che, nonostante la vicinanza fisica, ha scelto una politica di dislocazione delle strutture in altra direzione).
Lo stabile versa peraltro in pessime condizioni di manutenzione e richiede aggiornamenti onerosi.
Forse una parziale trasformazione in struttura alberghiera potrebbe rispondere alla cronica carenza di Bologna in queste dotazioni; l'hotel Meeting, la quarta ala dello stabile, che ha avuto vicende e gestioni ben più normali, sembra infatti funzionare senza problemi.

Alternative


Credo che sostanzialmente le alternative siano tra la conversione in residenza fissa o l'effettivo esercizio come alloggio temporaneo, offrendo la possibilità di trasferimento a prezzi vantaggiosi in altre residenze ai piccoli proprietari attuali.
Questa soluzione è certamente meno onerosa (si dovrebbero realizzare una sessantina di alloggi), ma non si profilano per ora interlocutori privati con cui portare a termine un progetto di questo tipo, la seconda appare di difficile praticabilità per i costi proibitivi e per il lungo periodo di attuazione.
Il riutilizzo in chiave non residenziale doveva forse essere tentato con maggior caparbia, insistendo soprattutto su una soluzione intercomunale del problema: nell'ottobre 1998, poco dopo la bocciatura della proposta di CdQ, la Giunta Comunale di Bologna si era fatta promotrice di un "tavolo metropolitano" costituito da Provincia di Bologna, Comune di Calderara, Regione E.R. e altri enti e soggetti privati (tra cui Fiera ed Aeroporto) per giungere ad un accordo di programma per la realizzazione di un piano di recupero dello stabile e alla formazione di una "Società per la Trasformazione Urbana".
L'iniziativa non ha però avuto seguito, in parte per lo scarso interesse degli enti, ma anche per il cambio della Giunta Comunale.
La trasformazione residenziale del G2, invece, equivale a rendere questo stabile il punto di partenza di una nuova periferia di Calderara.
A parte il fatto che il PRG recentemente approvato ha destinato all'espansione altre aree (il G2 è circondato da impianti industriali), il G2 ha una collocazione che lo mantiene comunque isolato dal comune da strade a veloce scorrimento e da una distanza dal nucleo di Calderara che, anche se non elevata in assoluto, è sufficiente a farlo percepire come un insediamento distinto.
Mi sembra comunque eccessivo fare di questo fabbricato il baricentro dell'espansione di Calderara, anche perché, in definitiva, il recupero in chiave residenziale renderà disponibili alloggi di mediocre qualità ottenuti però a costi elevati, senza contare l'inquietante vicinanza con le aree industriali.

Cartina della zona del g2


Nell'impossibilità di realizzare un continuum urbano tra Calderara e lo stabile, la soluzione migliore potrebbe essere affiancare al G2 servizi di vario tipo (aree commerciali, terziario, servizi comunali, verde attrezzato…), integrati tra loro attraverso un'efficace sistema di urbanizzazione, che potrebbero costituire un motivo di fruizione di quest'area da parte della popolazione di Calderara.
Il G2 continuerebbe a essere slegato dal tessuto urbanizzato, ma in qualche modo verrebbe integrato nella dimensione sociale del comune, riducendone l'isolamento.
In ultima analisi, l'intervento proposto al CdQ non è che lo step zero di un processo molto articolato e potrebbe forse portare a miglioramenti anche nel breve periodo.
Restano comunque forti perplessità rispetto alla "fase 2" del recupero che, pur solo abbozzata, anticipa però la possibilità di destinare una parte del fabbricato a studentato e un'altra a residenza protetta per anziani, due impieghi che, oltre a essere poco compatibili tra loro, mi paiono decisamente inadatti alla collocazione dello stabile, troppo lontano da Bologna per permettere una reale vita cittadina agli studenti e troppo lontano da Calderara per non fare sentire gli anziani sradicati dal proprio contesto.
Queste destinazioni d'uso, infine, non gioverebbero certo all'identità di luogo che il progetto si era proposto di ottenere attraverso la diversificazione tipologica degli alloggi.
Il G2, comunque, deve essere risanato, ed è evidente che un'operazione del genere non può avvenire senza l'intervento delle istituzioni.
Il G2, però, è una proprietà privata, non un bene statale, e questo elemento lo rende difficilmente collocabile all'interno dei CdQ.
Incentrare l'azione del recupero sulla presenza di edilizia sovvenzionata è un limite enorme: in questo caso l'esempio del G2 è emblematico, una condizione di degrado legata alla proprietà privata irrisolvibile, però, senza l'intervento dello stato.
Qualunque intervento di creazione di luoghi sociali in aree residenziali a carente infrastrutturazione si troverà facilmente in condizioni analoghe, a meno che non si intenda migliorare la dotazione di spazi pubblici solo nei quartieri IACP.
Inserire il parametro sociale tra gli obiettivi della qualità urbana comporta inevitabilmente un'azione statale che non faccia più distinzione tra stato e privato, ma lavori con l'obiettivo di un miglioramento globale della città.
In questo senso non credo che si possa ravvisare nella proposta di CdQ l'assenza di integrazione pubblico-privato lamentata dalla Regione: a differenza delle altre proposte, quella del G2 propone anzi una coordinazione pubblico-privato inedita e di grande valore sociale, in cui lo stato interviene in soccorso del cittadino vittima del degrado, facendosi garante dei suoi diritti e coinvolgendolo direttamente nell'intervento (i residenti contribuiscono direttamente ai costi del recupero delle loro unità).
La creazione di nuovi posti di lavoro, infine, è effettivamente un aspetto marginale dell'intervento, ma non mi sembra che il problema della disoccupazione possa essere risolto attraverso interventi di riqualificazione urbana.
Molti contratti di quartiere sbandierano invece indotti occupazionali al limite della comicità, con figure lavorative assolutamente pretestuose (eserciti di giardinieri per il verde condominiale, improbabili responsabili dei locali ad uso comune…), ancora legate all'idea del "lavoro di stato" e comunque a una dimensione assistenziale dell'intervento sul degrado.
Un quartiere funzionerà non grazie a uno schieramento di operatori del sociale di vario tipo, ma quando non avrà più bisogno di interventi di questo genere.


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